Demis Caccin – Gli specchi di Dionisio

Opera prima di questo novello autore che sicuramente riuscirà a catturare l’attenzione di molti lettori, Gli specchi di Dionisio è una racolta di racconti che ad una prima lettura lasciano disarmati. Da un lato lo stile letterario ben costruito, con una raffinata ricerca del lessico, che danno l’impressione di leggere un testo di autori classici, dall’altro gli argomenti trattati che non sono di immediata comprensione e che attingono molto da un mondo onirico in cui la realtà non è perfettamente distinguibile dalla fantasia del sogno o delle proiezioni create dalle personali paure.

I racconti, seppure separati ed indipendenti l’uno dall’altro, sono diligentemente raccolti in una cronologia che va dal periodo preistorico in cui i protagonisti vivono nelle caverne, ai giorni nostri in cui l’uomo è immerso nelle continue contraddizioni della nostra modernità. Se vogliamo trovare un comune filo conduttore nei diversi racconti possiamo dire che questo sia la ricerca della conoscenza. Conoscenza del sè, delle reali potenzialità della mente umana, della taumaturgia e dello sciamanismo col fine ultimo della cura.

In nessuno dei racconti la conoscenza o l’erudizione nasce da sè, improvvisamente, ma necessita del ricorso all’ascolto di maestri, saggi, alchimisti, sacerdoti di dottrine religiose o dottrine sociali elevate a dogmi dalla fede dei proseliti. Ai maestri non è possibile trasgredire, pena l’isolamento o la morte. Solo chi ha la pazienza di ascoltare e mettere in pratica a lungo gli insegnamenti può verificare il proprio stato di illunìminazione attraverso alcune prove di iniziazione che portano a diventare a propria volta maestri o semplicemente prendere atto della propria maturità per vivere in maniera cosciente, lenire i dolori del fisico e della psiche a vantaggio delle persone non illuminate del proprio villaggio o cerchia sociale. Si può arrivare a insinuare il dubbio in persone che vivono da anni seguendo la propria prassi religiosa forse non sorretta da una adeguata fede, anche se il costo è quello della propria vita, persa senza rimpianti perché con la convinzione di seguire la propria giusta via.

Credo che l’autore voglia spingere il lettore ad elevare il proprio pensiero e la propria curiosità consigliandogli di non soffermarsi solo sulle cose oggettive, materiali ma di chiedersi se ci sia una dimensione più spirituale da scandagliare. Non dà soluzioni, non suggerisce una religione piuttosto che un’altra ma richiama fortemente l’attenzione alla dimensione trascendentale che da sempre è stata presente nella nostra umanità ma che la materialità del nostro secolo ha fatto passare non solo in secondo piano ma addirittura additata come risibile.

Non è una lettura facile, non è per chi vuole dilettarsi con qualcosa di leggero o che dia sicurezze, bensì è una lettura che attraverso racconti simili a favole gotiche stimola e spinge alla ricerca. Buona ricerca a chi avrà il piacere di incontrare questo libro sul proprio cammino.

Joel Dicker – L’enigma della camera 622

Ho sempre odiato i libri molto lunghi perché spesso celano ripetizioni e inutili divagazioni sul tema pur di “allungare il brodo” ed arrivare ad una struttura da “libro di peso”.

L’enigma della camera 622 invece è un libro ben scritto, molto scorrevole, interessante dall’inizio alla fine. Pur nascondendo la verità fino all’ultima pagina, la particolarità del libro non è quella di essere un vero e proprio giallo ma di essere un libro d’amore. Dove l’amore è declinato in svariate forme andando oltre il tradizionale uomo-donna o padre-figlio. Uno degli aspetti più belli da scoprire riguarda proprio queste forme d’amore che si sviluppano attraverso la vicenda narrata.

Le divagazioni, in questo testo, sono giustificate dalla voglia dell’autore di affrontare il tema del dolore che si prova a causa di un lutto. Dicker parla in prima persona, è presente nel libro con il proprio carico di emozioni e il proprio dolore. Il dolore per la morte dell’anziano editore impregna tutto il romanzo dalla prima all’ulltima pagina. Lui era sinceramente affezionato a Bernard non solo per averlo portato al primo successo, per averne curato lo stile, per averlo fato crescere come uomo ma soprattutto per avergli voluto quel bene che è difficile da dimenticare e viene restituito nel testo che traspare amore sincero per questo anziano e saggio uomo di cultura.

Altro tema importante è la distinzione di classe sociale e i disperati tentativi dei protagonisti di fare il salto da una classe all’altra e nella stessa classe sociale, il tentativo di approdare a ruoli di comando per arrivare a controllare la vita delle persone. Oserei dire che il controllo è la parola giusta. Il controllo economico della banca di famiglia, il controllo sulle figlie, il controllo dei dipendenti e dei clienti dell’albergo, il controllo sulla vita delle altre persone. C’è nell’autore un forte desiderio di controllo, forse perchè si rende conto di non riuscire a controllare la propria voglia di scrivere che gli causa la perdita della donna amata.

Non voglio svelare ulteriori dettagli importanti che farebbero perdere interesse al lettore ma posso assicurare che l’enigma rimane tale quasi fino alla fine ma, a parere personale, non è questo a tenere alta l’attenzione del lettore, mentre lo sono i continui cambi di scena ed i salti temporali, ben calibrati per non creare al lettore quel disturbo da disorientamento che si avverte normalmente in questi casi. Invece, resta alta la curiosità di verificare come si concatenino gli eventi passati con quelli seguenti fino ad arrivare al tempo presente.

La trama potrebbe essere stata molto semplice ma Dicker ci svela un segreto (suo o di Bernard de Fallois?) Se c’è una spiegazione razionale immediata[..] allora la trama si esaurisce e non nasce nessun romanzo. È a questo punto che lo scrittore entra in azione: affinché un romanzo esista, l’autore deve superare le barriere della razionalità, sbarazzarsi della realtà e, soprattutto, creare una posta in gioco laddove non ce n’è nessuna.

Prosper Mérimée. Lettere ad una sconosciuta

Questo libro era divenuto un best seller a pochi giorni dalla sua pubblicazione, 3 anni dopo la morte dell’autore avvenuta nel settembre 1870 . Il pubblico dell’epoca era più interessato a trovare il giusto pettegolezzo sugli ambienti nobiliari e culturali della corte francese, tentando di smascherare l’anonima corrispondente dell’autore che ad apprezzare le pur valenti capacità artistiche di quest’ultimo.

In effetti la corrispondenza con la donna di cui non viene mai rivelato il nome aveva suscitato lo stesso interesse che oggi hanno alcuni articoli delle riviste scandalistiche e fecero partire l’affannosa ricerca per dare un nome ed un volto alla destinataria di tali missive. Solo dopo lunghe indagini, la misteriosa donna viene identificata come Jeanne-Francoise Dacquin, conosciuta probabilmente dall’autore di Carmen, in occasione di una richiesta d’autografo.

Vengono percorsi quasi 30 anni di storia e cultura europee con testimonianze delle ambizioni dell’autore, della vita mondana negli ambienti aristocratici parigini, della politica, delle guerre e rivoluzioni e soprattutto del rapporto sentimentale altalenante in cui emerge il carattere spigoloso ed egocentrico di Mérimée che cerca nella giovane donna sia il conforto di una sincera amicizia e sia lo scambio carnale che oggi chiameremmo di scopamici.

Le lettere non pretendono di essere di elevato valore artistico, trattandosi spesso di sole poche righe che sovente contengono sfoghi di collera contro la donna, contro l’élite culturale francese che non gli attribuiva sufficiente stima, contro il mondo o contro sé stesso, lamentando continue sofferenze che oggi attribuiremmo ad un carattere ipocondriaco. Eppure le missive sono ricche di richiami culturali alti e frasi in varie lingue, spesso tratte da opere famose, che condiscono le conversazioni epistolari tra i due amici.

Emergono a tratti sia l’ironia e sia l’indispettita arroganza con la quale apostrofava la sua corrispondente nelle occasioni in cui non rimaneva soddisfatto dalle risposte epistolari o dagli incontri furtivi finiti in maniera diversa da quanto da lui bramato.

Sembra impossibile che entrambi i protagonisti dello scambio epistolare abbiano viaggiato in molte parti d’Europa e del mondo trattenendosi per periodi prolungati e riuscendo comunque a raggiungersi tramite fermo posta. Alcune lettere sono poco più lunghe dei nostri messaggi su WhatsApp e ricevevano risposta entro uno, due giorni al massimo se i corrispondenti si trovavano nella stessa città ma sovente le risposte arrivavano a distanza di qualche decina di giorni. Per la cultura dell’immediato che abbiamo oggi è inimmaginabile quanto avveniva in passato. Oggi si nota la disperazione nel volto di chi attende il doppio baffetto blu che conferma l’avvenuta lettura del messaggio e prelude ad una risposta immediata oppure ad una lunga serie di stizziti improperi se la persona alla quale abbiamo scritto non risponde nel tempo che noi riteniamo opportuno.

Chissà con quali sentimenti ci si preparava all’attesa di giorni per scoprire l’effetto sortito dalla propria lettera. E nel caso documentato nel libro di Mérimée non c’era nemmeno la certezza che la posta arrivasse in tempo prima che il destinatario partisse per altra località.

Anche il trattenere le lettere, testimonianze di tutte le relazioni, siano esse d’affari o di cuore sembra un ingombro insostenibile ai giorni nostri eppure nelle chat dei nostri cellulari ci saranno enciclopedie di parole, spiegazioni, immagini e riferimenti che però hanno la caducità dell’effimero mentre le lettere venivano conservate gelosamente e rilette all’occorrenza perché custodivano pensieri e sentimenti. Un particolare non da poco: se non si tratteneva una minuta, si aveva contezza delle sole risposte rischiando di dimenticare quanto scritto. Sui cellulari abbiamo invece l’intera sequenza di battute scambiate.

Un aspetto che mi ha fatto molto riflettere, leggendo “Lettere ad una sconosciuta” è quello della necessità che l’autore aveva di comunicare i propri pensieri. Oltre al desiderio di sedurre la propria interlocutrice, ho colto una sincera voglia di relazione alla pari, senza l’invidia e l’ipocrisia dell’Accademia di Francia, senza i sottili intrighi della politica internazionale ma con la possibilità di depositare anche le proprie frustrazioni nelle mani di una persona che era in grado di comprendere, di assecondare e quando necessario, di rimproverare.

Ho provato a pensare se pure io abbia una persona con la quale poter avere la stessa libertà di espressione. Ho cercato innanzi tutto nella famiglia, nel mondo del lavoro, dello sport, del volontariato dividendo anche in base al genere e notando le differenze di rapporto con gli amici uomini o con le amiche donne. Mi sono accorto che forse l’unico specchio al quale riesco ad esprimere parte di me stesso è lo sfondo bianco del programma di scrittura, sul mio monitor. Eppure non mi risultava di essere così taciturno o riservato. Ho riflettuto nuovamente considerando i gruppi di persone con cui non ho più un rapporto diretto ma, a causa della distanza, solo comunicazioni di tipo neo-epistolare cioè tramite messaggi. Con questi ultimi la lunghezza e i contenuti dei messaggi sono più “alti” rispetto a quelli delle chat ad uso coordinamento utilizzate per la famiglia, lavoro, sport o altro. Gli amici con i quali ho uno scambio più profondo sono in effetti i più lontani e le comunicazioni più rade per cui dedico loro maggior tempo e cura nella scrittura. Ho un’unica eccezione, una persona che ritengo amica seppure non ci frequentiamo assiduamente e con la quale ho la sensazione di riuscire a comunicare con più facilità alcuni aspetti emozionali e dalla quale mi sembra di aver ricevuto medesimo trattamento. E’ uno di quei casi in cui si instaura un rapporto di ascolto reciproco che non vuol dire essere l’uno il muro d’appoggio dell’altro per qualsiasi cosa venga in mente ma essere quella risorsa estrema dalla quale attingere energia per rimettersi in piedi, dopo averle provate tutte.

Ultimo aspetto che ho colto nel libro è la seduzione continua che esercitava l’autore sulla donna e che subiva a sua volta. Un corteggiamento reciproco durato circa 30 anni. Oggi ci sono matrimoni che durano molto meno.

Non pensavo che un libro del genere riuscisse ad attirarmi così tanto. Non c’è una trama, non c’è un fine, eppure c’è tutta una vita.

Libri & Jazz

La calura estiva inizia a scemare e qualche comune organizza, con estrema fatica, le attività culturali di questa estate giunta quasi al termine tra l’euforia della fine del periodo acuto dell’emergenza Covid ed il timore di nuovi focolai. Ci vuole la giusta misura tra iniziative inedite ed il contenimento dell’epidemia.

In questo clima e nella cornice dell’elegante parco Pietro d’Abano a Battaglia Terme, sono riuscito a gustare una pregiatissima serata di Jazz accompagnata da letture di Marco Ferraro tratte dal libro “Natura morta con custodia di sax” di Geoff Dyer.

Scoprire pensieri e scorci di vita dei musicisti che hanno fatto la storia della musica hanno reso più orecchiabili e più penetranti i brani jazz, sentiti decine di volte in passato e mirabilmente riprodotti dal CVC Jazz trio, in accompagnamento al sax e clarinetto basso di Salvatore Pennisi.

Ascoltare il Jazz mi dà la conferma che la musica è eterna, perché reale espressione dell’anima del compositore. Ogni nota mi parla di vita. Che sia dolcezza, amore, disperazione, sofferenza o follia, per me il jazz contiene sempre passione ed è questa passione che mi fa sentire attuali le note scritte dai 70 ai quasi cento anni fa.

I jazzisti, quando eseguono i brani dei giganti del passato, sanno che non possono limitarsi a ripetere i suoni e i silenzi ma devono mettere la loro anima nel fiato che attraversa il sax o la tromba, nelle dita che accarezzano i tasti del piano o le corde del contrabbasso e nel movimento dei polsi che muovono le bacchette per picchiare su piatti e tamburi della batteria.

La serata finisce e vado a casa con le vibrazioni del contrabbasso che risuonano nelle viscere mentre il ricordo delle note acute del sax mi regalano quella malinconica eccitazione tipica del jazz, accompagnata dall’allegria della batteria e della chitarra. Sullo sfondo le storie di molte vite travagliate che hanno lasciato un segno indelebile nella storia della musica.

Il mercato editoriale torna a crescere. Quasi dimezzate le perdite subite nel lockdown – Liberamenti

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Auguri Don Gesualdo: L’omaggio di Franco Battiato a Gesualdo Bufalino – Daniele Muscò

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Asimov che cambiò i mondi — La Bottega del Barbieri

Fabrizio Melodia commenta l’arrivo di una serie tv sulla Fondazione Isaac Asimov è il mio autore di fantascienza preferito, non fosse che ricevetti ancora ragazzino una delle sue antologie robotiche più belle. 28 altre parole

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RECENSIONE DI… “POSTO, TAGGO, DUNQUE SONO?” DI ANGELO ROMEO — ragazzainrosso

Salve lettori, buon solstizio d’estate a tutti voi. Spero che possiate trascorrere tutti una stagione all’insegna del relax e della tranquillità. Questa mattina sono qui per parlarvi di un’opera di non fiction incentrata su un argomento sociale molto attuale: l’uso di Internet e dei social network. Mi riferisco a “Posto, taggo, dunque sono?” di Angelo […]

RECENSIONE DI… “POSTO, TAGGO, DUNQUE SONO?” DI ANGELO ROMEO — ragazzainrosso