Evoluzione del modello di proprietà.

L’altro giorno, ho sentito un ascoltatore alla radio che comunicava con grande enfasi e soddisfazione di aver venduto casa per vivere in affitto e che, dopo aver compiuto quel passo, si sentiva più felice. Sosteneva, tra l’altro, di non credere più nella proprietà privata. Quella semplice dichiarazione mi ha spinto a fare una serie di ricerche e a portare alla luce i ragionamenti che già covavano in me da lungo tempo. Provo a renderli fruibili a tutti, anche se mi rendo conto che l’argomento non è affatto semplice.

Il concetto di proprietà, soprattutto di proprietà immobiliare è sotto attacco da oltre un secolo, cioè da quando la necessità di superare gli squilibri sociali che c’erano tra il ceto popolare ed i ceti nobiliari a cui si aggiungevano i proprietari terrieri e i nuovi ricchi nati dalla continua ascesa delle attività industriali, aveva portato alle rivoluzioni proletarie sospinte dal vento della nascente ideologia comunista.

Eppure il concetto di proprietà, nel mondo occidentate, ha resistito agli assalti del comunismo e la proprietà privata, negli stati ad orientamento comunista, non è mai veramente sparita e oggi è in fase di rinascita pur sotto forme diverse. La continua evoluzione del concetto di proprietà privata o del suo utilizzo, ha ridotto, negli ultimi anni, il forte appeal che questa suscitava nei confronti della cosiddetta fascia media, di quelli che non sono né ricchi ma nemmeno possono considerarsi poveri avendo fonti di reddito dovute al piccolo commercio, piccolo artigianato o dipendenti a reddito fisso.

In questo quadro, è difficile pensare ad una omogenea diffusione della proprietà privata. Non solo dell’immobile, la prima casa, ma anche di beni di consumo di alto valore tipo l’automobile, la moto, gli elettrodomestici, il cellulare ed altri. Per questi prodotti sono sorti i finanziamenti. In origine venivano utilizzati solo per i grossi acquisti e successivamente hanno proliferato nel campo del finanziamento al consumo in quasi tutti i settori commerciali con possibilità diversificate di rateizzazione degli importi e della durata.

Nel campo automobilistico, diventando insostenibili i prestiti, si è fatto un recente ulteriore passo avanti e sono nati i noleggi di lunga durata che consentono, anche ai privati cittadini, l’utilizzo di automobili per un periodo, generalmente di 3 anni, prima di decidere se rendere indietro il mezzo, prenderne un altro nuovo sempre a noleggio o detenere il mezzo continuando a pagare la quota rimanente (in genere tramite altro finanziamento). Se analizziamo bene, siamo già alla rinuncia alla proprietà privata, quantomeno rinuncia all’idea del possesso. Tale rinuncia è sostenuta da alcuni fattori: l’auto viene vista come una spesa “a perdere” poiché si svaluta molto velocemente, inoltre con la formula del noleggio di lunga durata, c’è il vantaggio che la maggior parte dei contratti prevede, nei primi 3 anni, l’azzeraemnto di tutte le spese di manutenzione e assicurazione per cui non si avranno altre spese al di fuori del carburante. Ecco che la rinuncia alla proprietà viene vista come una forma di risparmio.

Precisazione: la situazione enunciata corrisponde al vero solo se l’acquirente era già orientato alla detenzione del mezzo per un periodo compreso tra i 3 ed i 5 anni ed è quindi riferita ad una fascia di reddito medio-superiore. In genere un reddito medio punta ad ammortizzare il costo di acquisto tra i 5 e gli 8 anni. Redditi inferiori tendono ad allungare la vita del proprio automezzo ben oltre il decimo anno.

Nel caso di beni immobili, siano essi terreni, prime case o abitazioni di villeggiatura, è più difficile immettere il pensiero della convenienza dell’affitto perché le leggi del mercato, per decenni, hanno presentato i beni immobiliari come forme di investimento poichè il cosiddetto prezzo del mattone che comprende anche il costo dei terreni edificabili, è stato artificiosamente fatto aumentare, senza alcuna reale corrispondenza al valore sia del terreno e sia della costruzione.

Le abitazioni, invece, hanno un decadimento nel tempo e necessitano di elevati costi di manutenzione. Nonostante tutto, vengono vendute dopo qualche anno di utilizzo, ad un prezzo superiore rispetto a quello del loro primo acquisto. Il metodo utilizzato dalle società di compravendita, per giustificare l’aumento si basa sul prezzo delle nuove abitazioni nella stessa zona residenziale che in genere è ogni anno più alto. E’ un assurdo! E’ come se io provassi a vendere la mia Multipla di 12 anni a 15.000 Euro o più perché quello è il costo minimo di un’auto nuova, incentivi compresi.

Dopo la crisi del 2008, la bolla speculativa sugli immobili ha avuto un leggero ridimensionamento, ancora insufficiente, secondo me, con una discesa costante ma non marcata fino al 2018, quando si è avuta la stabilizzazione dei prezzi ed il ritorno ad una moderata crescita. Perché la crescita è stata meno pronunciata rispetto a quanto si aspettavano ed auspicavano gli addetti del settore?

La frammentarietà e precarietà del mondo del lavoro, non consente alla maggior parte dei lavoratori una serena programmazione degli acquisti di beni di alto valore e soprattutto degli immobili. Le banche, che dovrebbero facilitare queste operazioni, cercano garanzie che solo un dipendente con parecchi anni di servizio, di ditte solide o del settore pubblico, può riuscire a dare. Da questo deriva un primo fattore di rallentamento nell’economia edilizia. Se ne aggiunge un altro. I comuni, nel fare i propri piani regolatori, oggi stanno molto più attenti che in passato a mantenere non edificabili vaste zone del territorio per rallentare il tasso di crescita delle aree cementificate del nostro Paese. Come ultimo ed importante fattore, bisogna considerare i continui interventi legislativi per il recupero del patrimonio edilizio, che a detta di qualcuno servono solo per far emergere i pagamenti in nero, in realtà hanno la funzione di rallentare la richiesta di nuove abitazioni puntando al recupero, all’efficientamento energetico, alla messa in sicurezza nel campo sismico, messa a norma di impianti elettrici, idraulici e del gas di tutte le vecchie abitazioni che, come dicevo prima, dopo qualche decennio dalla loro costruzione hanno necessità di costosi interventi per cui, ribadisco, non se ne capisce la ragione del continuo e galoppante aumento del valore.

Un altro fattore, a mio avviso, sta facendo da freno al settore edilizio. Nelle nostre città, soprattutto in quelle ad elevata densità abitativa, ci sono interi quartieri che andrebbero ridisegnati per rendere più moderne ed efficienti le zone residenziali. Tale operazione richiederebbe l’abbattimento di un gran numero di palazzi degli anni 50-60-70-80, oggi insicuri, insalubri e spesso nati nell’emergenza abitativa dovuta allo spopolamento delle campagne a favore delle città che sono appunto cresciute in maniera disordinata. La poca lungimiranza delle amministrazioni locali, sospinte da tale necessità ed urgenza, ha creato quartieri abitativi, anche in zone centrali, privi di parcheggi e con un crescente anonimato edilizio che allontana l’abitudine al gusto dell’ordine e della bellezza. L’eccessiva vicinanza dei palazzoni ha inesorabilmente ridotto gli spazi per parchi e spazi liberi di gioco all’aperto. A questo si aggiungono interi quartieri che hanno strade strettissime ed abitazioni fatiscenti di età superiore ad uno, due secoli ma non di valore artistico, architettonico o di memoria per modelli costruttivi testimoni di epoche particolari.

Cosa impedisce la razionalizzazione delle nostre città? L’eccesso di parcellizzazione della proprietà. Provate a pensare ad un condominio di 5 piani, con 3 appartamenti per piano, che dovesse presentare problematiche tali da rendere antieconomico qualsiasi tipo di intervento. Chi mai riuscirebe a convincere tutti i 15 proprietari che sarebbe necessario abbandonare la casa che hanno finito di pagare da pochi anni per abbatterla e ricostruirla? E siamo sicuri che tutti e 15 sarebbero invece propensi a mettere mano al portafogli per i necessari interventi?

Eppure non sono pochi i condomini italiani che necessitano di intervento antisismico, di sigillatura da infiltrazioni di acqua da falde sotterranee, di modifiche all’impianto del metano fuori norma, della sostituzione delle vecchie caldaie a gasolio con nuove forme energetiche e conseguente dismissione o inertizzazione delle cisterne. Non parliamo dell’impianto elettrico perchè doveva essere messo a norma già qualche decina di anni fa, anche se non sempre ciò corrisponde al vero.

Molto spesso tali condomini sono posizionati uno di fianco all’altro amplificando le problematiche non solo dell’abitazione in se stessa ma di tutta la vita di quartiere con file interminabili di auto parcheggiate per strada, spesso oggetto di vandalismi, traffico impazzito, mancanza di piste ciclabili e marciapiedi di dimensioni ridotte.

La soluzione più semplice sarebbe l’abbattimento dell’intero gruppo di condomini e successiva ricostruzione secondo moderne caratteristiche architettoniche che comprendano impiantistica efficiente e a norma, adeguato numero di autorimesse e posti auto coperti, spazi aperti per aree verdi ad uso sociale, alberatura delle strade, ridimensionamento delle sedi stradali in base alle reali necessità, piste o strade ciclabili e quanto altro potrebbe essere utile per ridurre la maggior parte dei rischi compreso quello alluvionale.

Ci sono città in cui sono stati tombinati fiumi e canali di deflusso delle acque piovane e i danni sono stati ingenti. Basti ricordare le due alluvioni di Genova del 2011 e 2014, quella di Sarno, quella delle cinque terre con gli ingenti danni a Vernazza, quella di Refrontolo, quelle del Biellese e non proseguo perché riportare alla memoria in poco tempo tutte quelle distruzioni e morti è già molto doloroso. In queste città si dovrebbe rivedere tutta la gestione del territorio e recuperare il dissesto idrogeologico perpetrato per anni. Non di rado, per la riapertura dei canali di gronda o dei fiumi, l’unico sistema sarebbe l’abbattimento di file di condomini.

Per realizzare questa opera di ridisegno delle aree urbane è necessario che un Ente pubblico o privato possa detenere la proprietà degli immobili al fine di condurre l’opera di abbattimento e ricostruzione, secondo criteri innovativi.

E’ questo il punto centrale. La spasmodica ricerca della proprietà ha di fatto parcellizzato il possesso del bene, con l’un unico effetto di rendere impossibile la programmazione ed attuazione dell’ammodernamento delle città per farle crescere in maniera armonica col territorio, con criteri urbanistici moderni e che siano rispettosi sia delle esigenze abitative e di vita quotidiana e sia dell’ambiente.

Il riutilizzo degli spazi già edificati, contribuirebbe alla riduzione dei prezzi dei terreni perché ne ridurrebbe la richiesta, eviterebbe l’aumento della cementificazione nelle aree periferiche delle nostre città e garantirebbe un mercato degli affitti più equo e sostenibile. Lo sviluppo verticale darebbe anche un nuovo impulso all’architettura italiana che per esprimersi deve ricorrere alle grandi commesse straniere, perché in Patria non c’è un mercato edilizio di alta qualità.

L’edilizia di alta qualità è generalmente legata a concetti di bellezza e modernità e porterebbe con sè il gusto del bello, contribuendo alla modificazione di alcuni comportamenti scorretti, seppur pur non sempre consapevoli, degli abitanti di grandi città e piccoli centri in cui la crescita caotica o lo stato di abbandono hanno portato le persone a trascurare l’ordine, la pulizia e la serenità dei quartieri.

Ho tralasciato un fattore importante. Essere proprietari di un’abitazione è spesso un fatto puramente illusorio. La ricerca spasmodica della proprietà ha fatto impiegare enormi risorse economiche delle famiglie italiane che si sono accollate mutui ipotecari della durata di due/tre decenni favorendo solo i costruttori e le banche che sono diventati di fatto i proprietari del risparmio degli italiani.

In definitiva, sia per motivi economici e sia per motivi ecologici sarebbe meglio incentivare questa modificazione del pensiero che ha messo nel possesso della casa di abitazione quasi un punto di arrivo per potersi considerare una famiglia completa e passare al modello di affitti dinamici, quasi un noleggio a lungo termine, con prezzi abitativi più bassi ed il costante riutilizzo dei terreni per il miglioramento qualitativo delle città. Lo Stato risparmierebbe i soldi degli incentivi che potrebbero essere utilizzati per il recupero edilizio di costruzioni importanti dal punto di vista architettonico e testimonianza culturale del nostro passato.

Un pensiero riguardo “Evoluzione del modello di proprietà.

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