Giovinezza con sottofondo pucciniano

Oggi guardavo un gruppo di giovani, tra i 20 ed i 30 anni circa, forse qualcosa in più. Erano seduti al bar a sorbirsi il loro aperitivo, tutti apparentemente felici e ben vestiti. Ho provato ad origliare i discorsi, non per morbosa curiosità di farmi gli affari loro quanto per capire quale fosse il tema centrale degli interessi giovanili. Seguivo il flusso delle parole che rimbalzavano da un tavolo all’altro attraversando lo spazio in cui mi trovavo.

Ho scoperto che gli argomenti erano variegati e diversificati in base al genere. I ragazzi parlavano di sport, di calcio in particolare, ma non solo. Descrivevano le auto o le moto che avevano visto o che sognavano di acquistare. Non mancavano i commenti per la ragazza in minigonna seduta al tavolo in fondo alla sala mentre con l’occhio vispo scrutavano il fondo-schiena della cameriera che attraversava il plateatico con passo veloce. Nei gruppi misti erano frequenti i discorsi sulle serie televisive più in voga con commenti su personaggi ed attori. Chi era uscito da poco dal lavoro aveva sempre qualcosa da ridire sul dispotismo del proprio capo o sull’incapacità del collega. Nei tavoli di sole ragazze c’era sempre un cuore spezzato da consolare, un’amica che aveva tradito la fiducia o un nuovo vestito da descrivere a cui abbinare le scarpe giuste. Immancabile, tra un discorso e l’altro, il commento sul taglio di capelli particolarmente riuscito o decisamente non indovinato da quell’imbranata della parrucchiera.

Mi ha fatto piacere vedere quella spensieratezza e constatare la leggerezza di ogni singolo argomento trattato anche se , devo essere sincero, mi aspettavo anche qualcosa di più profondo, legato a temi attuali, alla politica, alla difesa del territorio, all’impegno sociale, alla cultura o chissà a quali altri temi. L’impressione che ne ho ricavato è stata quella dell’inconsapevolezza.

Quei giovani, nel loro pieno diritto di avere un momento libero e di svago, mi sono sembrati del tutto ignari dell’ effetto che potrebbero avere le loro azioni se mosse da uno scopo ben preciso. Potrebbero addirittura cambiare il mondo o lasciare un segno nella storia. L’enorme potenziale giovanile inconsapevolmente tenuto a freno dalla mondanità.

Io immagino (o forse ricordo) l’animo giovanile in preda a due diverse spinte, due spiriti con caratteri diversi sebbene non necessariamente contrastanti. Vi è lo spirito di leggerezza, sempre alla ricerca della gaiezza o della superficialità per non affannarsi sui problemi e galleggiare nella quotidianità del compito assegnato a tutti noi dalla società moderna: lavorare e consumare. Da questo spirito nasce e si afferma la voglia di divertimento che rende i giovani protagonisti dei pomeriggi con forte aggregazione nei centri cittadini e delle notti brave. Poi c’è lo spirito di indomita lotta contro chi vuole governare le scelte dei giovani, chi li vuole costringere a seguire la massa imponendo loro regole che gli vanno strette. E allora partono le proteste, le contestazioni e i progetti di cambiamento. Una testimonianza, ad esempio, le iniziative di “Friday for future”.

Cercavo uno spunto per riuscire a descrivere questi due diversi spiriti giovanili e non riuscivo a trovarlo fino a quando ho chiamato in mio aiuto sia il grande Maestro Giacomo Puccini con le sue opere Tosca e La Bohème e sia il maestro di comicità Roberto Benigni con il suo monologo televisivo al festival di Sanremo 2011.

Benigni, facendo l’esegesi sull’Inno di Mameli parla del fermento giovanile che ha caratterizzato il periodo risorgimentale. I giovani furono i principali interpreti della ribellione allo straniero, invasore del suolo italico, e sognavano per l’Italia un nuovo futuro non ancora ben delineato tra unitario o federale, tra repubblicano, monarchico o sotto l’egida papale. C’era un solo imperativo: ribellarsi!

Quando Benigni parla di quel gruppo di “giovani, intrisi di gioventù” sicuramente usa un espediente lessicale per far sorridere il pubblico televisivo ma dipinge in maniera forte cosa vuol dire essere giovani. Vuol dire essere intrisi di leggerezza, di ardore, di coraggio, di speranza, di goliardia, di innovazione sociale e molti altri sentimenti tumultuosamente presenti nei cuori giovanili.

Nell’odierno mondo giovanile, limitando il ragionamento all’Italia e qualche altro stato europeo ed escludendo dal ragionamento le lotte di fede politica che hanno più il gusto del tifo calcistico piuttosto che quello di reale movimento di ribellione o protesta avverso mondi politici oppressivi, le spinte idealiste sono relegate ai temi dell’equità sociale, dell’ecologismo, della difesa del pianeta o del superamento della logica del profitto. Di conseguenza sono viste come distanti dalla vita quotidiana e ad appannaggio dei pochi coraggiosi che sfidano i conformismi per sollecitare lo spirito critico nei loro coetanei ma soprattutto nel mondo adulto che gestisce soldi e potere.

Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui i giovani odierni, nonostante mediamente abbiano un livello culturale superiore rispetto a quello dei loro coetanei di uno, due secoli prima, appaiono più superficiali rispetto a questi ultimi e apparentemente tesi solo al divertimento. Non sembrerà quindi irriverente un accostamento allo stile di vita degli artisti in cerca di affermazione nella Parigi dell’800, in cui i giovani poeti, pittori, filosofi, non avevano la consapevolezza di essere protagonisti del cambiamento culturale in atto e, nell’attesa del successo, passavano le serate riempiendo strade e locande di spensierata e spesso irriverente allegria. Si era così creata nell’immaginario collettivo, l’idea di Bohème.

Puccini, con la sua famosissima opera “La Bohème”, ci fa entrare nella quotidianità della vita dei bohémiens che simbolicamente rappresentano tutta la gioventù europea dell’epoca, non solo quella degli artisti. Assieme ai personaggi dell’opera viviamo le multicolori esperienze che vanno dalla difficoltà nel pagare l’affitto da parte dei 4 artisti, al corteggiamento di Rodolfo verso la delicata Mimì, passando dal tarlo della gelosia, sia quello provocato dalla civettuola Musetta e sia sia quello immotivato subito da Mimì e lo spontaneo altruismo che spinge Musetta a privarsi dei suoi preziosi orecchini pur di pagare un medico ed un manicotto per le gelide mani di Mimì. Ed infine la forza dirompente del dolore, sottolineata dai 3 assoli di ottoni che precedono il pieno orchestrale nella straziante chiusura del melodramma.

Puccini con “La Bohème” colloca la tragedia nella vita di questi giovani. Emerge comunque in maniera decisa il carattere primario dei giovani bohémiens e su questo volevo puntare la mia attenzione. E’ lo stesso spirito presente nei discorsi catturati tra i tavoli del bar. Voglia di divertirsi, qualche problema di cuore, attenzione alla mondanità e all’esteriorità.

Nell’altro dramma pucciniano citato, vediamo invece la storia di amore e gelosia tra la cantante Tosca ed il pittore Mario, inserita negli eventi storici del 17 giugno 1800 in cui le alterne sorti della battaglia di Marengo finiscono per pesare nel destino dei due giovani. Tosca è coinvolta, suo malgrado, nei progetti di sovversione e resistenza che alcuni giovani romani stavano intraprendendo per assecondare l’avanzata francese convinti che Napoleone li avrebbe aiutati a sconfiggere gli usurpatori austriaci e a togliere il potere al papato. A contrastare i loro sogni di affrancamento dallo straniero e di libertà per ricostituire la fallita Repubblica Romana, c’è il perfido rappresentante della polizia papalina, Scarpia.

In Tosca vediamo i giovani disposti ad ogni sacrificio per il loro ideale di libertà. Il coraggio e l’ardore che portano all”eroismo, all’audacia, alla lealtà e alla difesa degli ideali, non sono caratteristiche innate, o deliberatamente scelte dai protagonisti ma si presentano come occasioni, attimi in cui la decisione di farsi carico di un problema fa la differenza. Mario non era direttamente coinvolto con la rivolta ma non esita a nascondere il suo amico Cesare, fuggiasco dalle prigioni papali diventando di fatto complice dei rivoltosi. La stessa Tosca, prima di essere travolta dall’occasione propizia che la trasforma in omicida, stava per sacrificare se stessa, pur di far cessare le torture sul suo Mario e per ottenergli il riscatto dalla condanna a morte per fucilazione emessa da Scarpia.

Dal secondo dopoguerra ad oggi, la nostra nazione non ha avuto la necessità di affrontare guerre aperte se non quelle contro la mafia ed il terrorismo, per cui giovani e meno giovani non sono stati costretti ad armarsi e partire contro nessun nemico. Ci sono state le lotte salariali, le lotte per alcuni diritti civili, ma niente di paragonabile al disastro di situazioni belliche o di lotta per la propria libertà ed indipendenza.

Ai giovani raccomando di continuare a vivere la propria gioventù sia con la leggerezza dei bohémiens (aggiungerei con la necessaria passione negli studi e professioni che affrontano) e sia con l’impegno sociale per ciò in cui credono, augurando loro che la nostra società non richieda più quei sacrifici di vite umane che si sono rese necessarie per la conquista dell’indipendenza da stati stranieri e per la liberazione dal nazi-fascismo.

La guerra tra Armenia e Azerbaigian — PAROLE LIBERE

Dal blog https://www.pressenza.com/ 09.10.2020 – Sistema Critico Avete mai sentito parlare del Nagorno-Karabakh? Probabilmente quasi tutti ne hanno sempre ignorato l’esistenza. È roba da specialisti della geopolitica, di quei pezzi di terra che scopriamo casualmente girovagando su Wikipedia. In questo piccolo lembo di superficie a cavallo tra la Turchia, la Russia e soprattutto l’Armenia e […]

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Coronavirus, aggiornamenti

Eccomi qua con l’aggiornamento promesso nell’articolo del 27 giugno.

La situazione epidemiologica, nel mondo, è arrivata ad un punto cruciale. Oggi, 27 settembre 2020, è stato superato il milione di morti accertati nel mondo. In molti Stati l’epidemia è in forte espansione compresi gli Stati europei in cui sta ritornando in maniera vistosa in quella che giornalisticamente è stata chiamata “Seconda ondata”.

Non voglio essere tacciato di allarmismo per cui preciso subito che c’è un’enorme differenza tra i primi mesi di pandemia in Europa e questa recrudescenza. La maggior parte dei casi positivi sono soggetti che hanno avuto contatti con il virus ma non mostrano segni di malattia, ossia sono sani ma potenzialmente contagiosi. Durante la prima ondata, la prevalenza dei pazienti positivi si presentavano in ospedale già malati. Solo facendo lo screening di parenti ed amici si riuscivano a trovare alcuni casi di positivi privi di sintomi. Oggi gli screening sono a più vasto raggio e per questo si scoprono centinaia di nuovi positivi al giorno e solo pochissimi di questi sono nuovi malati. Fatta questa bella precisazione dobbiamo prendere atto che a fine giugno, in Italia, avevamo circa 40 casi in terapia intensiva, oggi ne abbiamo 254, determinando una situazione non drammatica ma in lento peggioramento. Ne consegue che, senza alcun allarmismo, è senz’altro necessario continuare a mantenere le odierne precauzioni. La diffusione del virus è, infatti, rallentata dalle buone abitudini apprese in questi mesi e dalla maggior produzione industriale di dispositivi di protezione individuale e di igienizzazione. Troviamo disinfettanti alle porte di ogni negozio, usiamo le mascherine quando ci troviamo in presenza di altre persone e applichiamo il distanziamento. Pensate che solo 8 mesi fa erano sparite tutte le confezioni di disinfettante dai supermercati, non c’erano mascherine di nessun tipo, e non avevamo ben compreso cosa volesse dire distanziamento di sicurezza. La massiccia quantità di tamponi, inoltre, permette di intercettare con largo anticipo le persone positive al virus impedendo la rapida diffusione. Ci sono poi tutti i vari sistemi di tracciabilità che vanno dai registri cartacei all’App Immuni o altre simili.

Fatta questa bella premessa, analizziamo i numeri. Come ho più volte sottolineato, i numeri ci danno indicazioni importanti ma bisogna tenere conto che siamo certi della non esattezza dei dati provenienti dalla maggior parte degli Stati africani, per stessa ammissione dei loro governanti, per cui sia contagi e sia decessi sono da considerarsi sottodimensionati. Discorso simile per alcuni stati del sud-est asiatico e del sud America. Per finire, non c’è nessun valore comunicato dalla Korea del nord.

Nel primo dei due grafici, si vede chiaramente che nel mondo siamo arrivati a punte di 300.000 nuovi casi al giorno contro i 40-50 mila quando erano interessate solo la Cina e l’Europa. Per contro, il secondo grafico ci mostra che il numero dei morti, dopo i picchi di aprile, si sono stabilizzati tra i 5 e i 6 mila al giorno con minimi intorno ai 4000. Complessivamente il mese che ha dato più tregua al mondo che però ha forse illuso sulla possibilità di una fine immediata dell’epidemia, è stato giugno.

Dal grafico curato quotidianamente da me con i dati prelevati dal sito Worldometers (dal quale derivano anche i primi due grafici esposti), si possono fare interessanti considerazioni.

  1. La fine del mese di giugno mostra le inversioni di tendenza di quasi tutte le curve. Comincio da un dato interessante: il numero di Stati con zero casi Covid (dopo averne avuto almeno 1) erano 29 nella seconda decade di giugno ed appena 8 ad inizio settembre. Nello stesso periodo, i casi attivi in Nord America sono saliti da poco più di 1,1 a 2,8 milioni; in Europa da poco meno di 800 mila ad oltre i 2 milioni; Asia e America del sud hanno andamenti altalenanti dovuti a molti fattori: la frammentarietà della raccolta dati, l’elevato numero di decessi e il meccanismo dell’automatismo per cui un paziente positivo, se non ha i sintomi della malattia, viene considerato negativo dopo 7, 10 o 14 giorni a seconda degli Stati, senza fare ricorso al secondo tampone di riscontro.
  2. Il numero dei malati critici, nel Mondo, è salito dai 49mila di inizio luglio (la rilevazione l’ho iniziata in quel periodo) ai 63mila dei nostri giorni.
  3. La mortalità media rispetto al numero di contagiati, da giugno ha rallentato il ritmo di diminuzione, proprio in funzione del maggior numero di tamponi. Secondo le mie stime dovrebbe attestarsi, a fine pandemia, intorno al 1,5 %

La fine della pandemia non è così vicina come vorremmo e si guarda al vaccino come soluzione finale. Io spero che oltre al vaccino si arrivi a trovare farmaci in grado di fermare sul nascere questa malattia così da conviverci come facciamo con molte altre.

Non so se continuerò a dare aggiornamenti poiché c’è una parte di me che vorrebbe vedere già conclusa questa conta sulla pandemia e concentrare l’attenzione su altri argomenti ma sento ancora l’esigenza di dare informazioni con uno sguardo di maggiore ampiezza rispetto alle statistiche regionalizzate che, pur essendo approfondite, hanno spesso il difetto dello sguardo miope e non fanno comprendere appieno la portata del fenomeno.

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