Era stata una giornata molto calda e stancante ma l’eccitazione era alle stelle. Avevamo organizzato la tanto agognata rimpatriata tra compagni di scuola ormai cinquantenni. Una mega festa in cui eravamo presenti un centinaio di diplomati nell’88 al Liceo Scientifico Fermi di Padova. La zona della Diga di Chioggia, col grande parcheggio e l’immenso spazio sulla spiaggia, era stata individuata come la location migliore per una festa privata in grande stile. Eravamo 500 persone, forse di più. Ogni diplomato era venuto con il proprio partner, marito o moglie che fosse, qualcuno con l’amante e molti amici.
Era scioccante constatare le trasformazioni che tutti noi avevamo subito nel corso degli anni. In qualcuno mi era stato difficile rivedere il volto che avevo memorizzato oltre 30 anni prima. Nè il ragazzino con le prime pelurie e l’atteggiamento da uomo per nascondere l’insicurezza e nemmeno i volti snelli delle ragazze lentigginose. C’erano persone che mi salutavano come se ci fossimo visti il giorno prima ma a me sembravano perfetti sconosciuti. Altri non avevano cambiato un capello, più rotondetti e occhi scavati dalla frenesia quotidiana ma erano gli stessi di trent’anni prima.
Man mano che incontravo i miei vecchi compagni di scuola mi rendevo sempre più conto che stavo osservando il variegato spaccato della nostra società. C’era chi occupava i gradini più alti della scala sociale avendo conseguito le migliori specializzazioni nei rispettivi corsi di studio e di ricerca o essendosi buttato a capofitto nell’attività lavorativa presso l’azienda di famiglia o in quella creata autonomamente dal nulla nell’effervescente campo imprenditoriale della provincia patavina. Assieme a loro c’erano, invece, coloro che avevano clamorosamente fallito le aspettative proprie e delle famiglie, fiduciose che un diploma al Liceo scientifico potesse aprire mille porte, da quelle delle università più prestigiose, agli impieghi pubblici fino ad incarichi dirigenziali nelle grosse aziende.
Bruno era alto, riccioluto e scarno. Mi aveva confessato che dopo il diploma si era perso, aveva sprecato qualche buona occasione come DJ radiofonico e si era buttato in un giro di droga dal quale ne era uscito malconcio e solo dopo la trentina. Aveva dormito in strada, quando i suoi lo avevano buttato fuori di casa perché era diventato violento ed un peso emotivo troppo forte per sostenerlo in famiglia. Un prete lo aveva portato a lavorare in una cooperativa sociale. Lì lo avevano assunto per fare il manutentore. Aveva dovuto imparare a fare l’idraulico, il falegname, l’elettricista ed il giardiniere e lentamente si era disintossicato. Non era stato facile. – La felicità non è gratis e nemmeno immediata. – mi aveva detto. Bruno è stato importantissimo per la festa. Si è dimostrato instancabile come lavoratore nei due giorni di allestimento finale, anche se aveva bisogno di essere guidato. Evidentemente non era mai stato abituato a decidere autonomamente cosa fare ma a dipendere dagli ordini altrui.
Cinzia, invece era un portento. Organizzata al massimo, dava a ciascuno di noi il nostro compito. Lei non aveva fatto parte del cosiddetto nocciolo duro, quelli che avevamo avuto l’idea della festa e che avevamo cercato i primi contatti attraverso i numeri o indirizzi che ricordavamo. L’aveva voluta Paolo nel team perché se la ricordava bene, era molto carina ed era dai tempi della scuola che sperava di scoparsela ma poi si erano persi di vista. Quella poteva essere la sua occasione. Invece Cinzia si era dimostrata subito molto determinata lasciando poco spazio a Paolo per flirtare. Aveva recuperato gli elenchi scolastici e aveva dato a ciascuno di noi un incarico ben preciso per rintracciare tramite elenco telefonico, Facebook, e vecchi indirizzi, circa 20 persone a testa. Aveva deciso che Paolo avrebbe dovuto interessarsi dei contatti con tutti i fornitori esclusa la location e i DJ per i quali aveva incaricato me. Cinzia, subito dopo il diploma, si era iscritta a medicina ma a causa della sua passione per lo spritz, le serate al bar o in discoteca fino a tardi, in due anni aveva dato solo tre esami e il papà le aveva dato l’out-out. O si fosse messa a studiare seriamente laureandosi nei tempi previsti o sarebbe andata a lavorare, cosa che avrebbe dovuto fare comunque se ci teneva a continuare quello stile di vita dispendioso. Un’amica che era stata licenziata dal suo capo perché era rimasta incinta, le aveva proposto di prendere il suo posto di segretaria. Non era uno stipendio da favola ma pagava regolarmente, cosa da non sottovalutare. Cinzia era rimasta in quello studio solo quattro mesi. Aveva capito che l’avvocato era uno sfruttatore ed un viscido approfittatore sessuale. Più di qualche volta le aveva toccato le tette o dato qualche schiaffetto sul culo. Il carattere forte di Cinzia aveva evitato che ci provasse più spesso ma comunque era troppo per lei. Non riusciva a sopportare quella situazione per cui alla prima occasione se ne sarebbe andata. Un cliente, in attesa di essere ricevuto dall’avvocato, le aveva confidato che era disperato per la recente morte della moglie. Tra l’altro, senza di lei non riusciva più a gestire l’ufficio commerciale della propria ditta di componenti elettromeccanici. Solo la sua povera moglie era così brava e sarebbe stato difficile sostituirla. Cinzia non ci pensò due volte, gli disse che lei sapeva come gestire un ufficio e parlava bene l’inglese e lo spagnolo per cui avrebbe potuto essere all’altezza della situazione. Lavorava ancora in quell’azienda.
Simone si era Laureato in ingegneria ed era stato assunto da un’azienda che costruiva alberghi di lusso. Durante una trasferta in Australia si era innamorato del posto ed era rimasto a Perth per aprire una serie di locali: aveva cominciato con un circolo al porto turistico e poi ci aveva preso gusto aprendo bar, discoteche e ristoranti sul lungomare. Di fatto lui non faceva nulla. Apriva i locali e li affidava a gestori. In pratica viveva di rendita. Dopo 20 anni, aveva deciso di rientrare a Padova perché i suoi genitori non stavano più bene e necessitavano di cure continue. All’inizio mandava soldi per la badante ma non bastava più. Serviva una presenza costante. Non si era mai sposato pur essendo molto ricercato dalle donne e pieno di soldi ma il suo interesse era diverso ed orientato ad un altro genere. Finalmente si era liberato del senso di vergogna e consapevole della propria maturità fisica e psicologica aveva deciso di mostrarsi come era realmente. Alla festa era venuto con il suo nuovo compagno, un tunisino di venti anni più giovane di lui, molto eccentrico.
Angela sembrava una star di Hollywood e aveva gli occhi di tutti puntati su di lei: alta, capelli castano chiari, volto asciutto che sottolineava la forma della mandibola e faceva risaltare gli zigomi perfetti, leggermente tondeggianti che facevano pendant con il naso sottile leggermente all’insù. Molti dicevano che erano stati rifatti ma a me piaceva pensare che fosse solo l’invidia per quel fisico statuario. Il suo foulard leggero, svolazzante intorno al collo lungo, le copriva parzialmente le spalle perfettamente abbronzate. Un malizioso top le metteva in evidenza il seno pieno, tondeggiante e apparentemente sodo. – Quando si hanno i soldi è facile rimanere belle -, questo il commento di molti tra i presenti, e non solo da parte delle donne, giustificate dalla meritata invidia, ma anche dagli uomini che comunque non rinunciavano ad avvicinarla, sornioni, con un drink in mano. Era come vedere le api ronzare attorno ad un bel fiore ricco di polline. Eppure, Angela non era una persona così volubile come poteva sembrare alla prima occhiata. Lei si era affermata prima come ricercatrice e poi come dottoressa nel reparto oncologico di Padova. Nonostante fosse impegnatissima col suo lavoro riusciva a vivere un bellissimo rapporto familiare con il marito, dottore anch’egli e i loro due figli.
Vivevano in centro a Padova, vicino al Prato della Valle in uno stabile antico ma completamente ristrutturato. La facciata uniforme nascondeva, dietro l’elegante portone automatico, un cortile con un tiglio secolare al centro e quattro platani di recente piantumazione, posizionati sul fondo. Ai lati le sei unità alloggiative di alto prestigio.
Difficile trovare operai o impiegati comunali tra i residenti in quei caseggiati. Le auto parcheggiate sotto la tettoia in legno lo dimostravano senza alcuna ombra di dubbio.
Alessandra non aveva avuto la stessa fortuna di Angela. Pure lei aveva svolto un dottorato di ricerca e come Angela era stata assunta all’Ospedale Civile di Padova. Il suo carattere, non certo disponibile e una certa insofferenza nei confronti delle persone e dei loro problemi, l’avevano resa subito antipatica alla maggior parte dei colleghi facendola entrare in una forma di isolamento. Le cose erano peggiorate dopo la separazione da Fabio, ex compagno di scuola, quindi anche lui presente alla festa. Fabio era rinato dopo la separazione. La nuova compagna di Fabio faceva la parrucchiera. Questa era una cosa che feriva Angela. Si era convinta di essere stata tradita e mollata per una persona che valeva meno di lei. – Per fare le parrucchiere cosa ci vuole? basta non aver voglia studiare e non andare all’università. – La sua disperazione si era tramutata in depressione ed inevitabilmente riversata sull’aspetto fisico: capelli trasandati grigio-neri, faccia arrotondata dal gonfiore generato dai farmaci con le guance pendenti che le facevano mostrare qualche anno in più dei 50 effettivi. Quando l’avevo vista arrivare alla festa con il rossetto troppo pesante sul trucco chiaro, la pelle bianca come se non avesse mai preso il sole, un vestito che le cadeva addosso come un sacco e gli stivaletti bassi che non davano nemmeno un poco di slancio alla sua già bassa statura, avevo pensato che fosse una strega. Le mancava solo il cappello a punta.
Il tipo più strano, conosciuto in quell’occasione sebbene del Fermi pure lui, era Domenico Misano. Lo chiamavano tutti Dommy.
Dommy aveva collaborato con noi soprattutto negli ultimi giorni di organizzazione della festa. Era un tipo diffcile da definire. Libero professionista, non si era mai sposato, credo per una precisa scelta di libertà non perché gli fosse mancata l’occasione. Dommy aveva tante idee e sarebbe stato capace di svolgere molti lavori in contemporanea. Rideva e ci raccontava le sue avventure mentre lavoravamo. Parlava soprattutto di donne e di calcio. Lui era dirigente di una squadra amatoriale ad Abano. Mentre tutti gli argomenti erano per lui risibili, pure la politica, quando si parlava di calcio diventava quasi intransigente. Allora prendeva tutto sul serio soprattutto se si parlava del settore giovanile, quello che seguiva direttamente.
Nei 2-3 giorni che eravamo stati quasi costantemente alla diga di Chioggia per allestire i chioschi, i punti di ingresso, le consolles per i DJ, i mega cubi per le ballerine, lo avevo visto arrivare con la sua Guzzi V7 cafè racer o con la smart nera. Erano entrambe troppo piccole per lui che era alto oltre il metro e ottantacinque ma evidentemente il suo unico scopo era fare il figo. E, nonostante la sproporzione, funzionava.
Era così in tutto, usava pantaloncini o jeans e maglie o camicie di marca, spesso molto vistose ma con qualcosa che non ci azzeccava, quasi un disordine voluto, che faceva scena e attirava l’attenzione. In effetti era un tipo che non passava mai inosservato. Piacevole d’aspetto, più giovanile della sua reale età, indossava occhiali dalle forme e colori più strani, barba brizzolata e capelli sempre imbizzarriti che non davano la sgradevole sensazione di essere sporchi o disordinati ma semplicemente in movimento continuo. Ogni volta che arrivava lui, si aprivano 4 o 5 birre e spuntava subito del pan biscotto e salame. Finito il piccolo break tornavamo a lavorare ma passavano poche manciate di minuti e lo rivedevi con la sua bottiglia in mano mentre si fermava a parlare con qualcuno, anche con i curiosi che venivano a chiedere cosa stessimo preparando. Di fatto Dommy era il nostro addetto alle Public Relations, parlava e beveva tanto senza dare l’impressione che lavorasse poco. Man mano che aumentavano le birre bevute, la voce già gutturale, diventava greve e le parole biascicate. In quelle occasioni non era raro vedere la sua mano destra sollevarsi per toccarsi i capelli sulla nuca, quasi per controllare di avere ancora una testa sul collo. Anche gli occhi diventavano fessure sottili che accompagnavano il sorriso coinvolgente da bontempone. Stava bene con tutti purché ci fosse una birra a portata di mano. La sera della festa non era arrivato in compagnia di una donna ma ne erano state registrate tre nell’elenco degli ospiti a suo nome. Colleghe di lavoro, diceva. Alla maliziosa domanda di Angela se Dommy fosse accompagnato, scherzando le avevo risposto di sì perché non l’avevo mai visto senza una bionda in mano. Iniziavo a pensare che fosse tutta scena ed in realtà non bevesse ma tenesse sempre lo stesso bicchiere. Dopo averlo seguito con gli occhi per qualche minuto, mi ero invece reso conto che beveva, lentamente ma beveva un bicchiere dopo l’altro. Mi ero avvicinato a lui mentre stava parlando con Cinzia ed altre due donne che non conoscevo, una rossa con una scollatura da capogiro e una biondissima riccia che illuminava tutta la scena. Era un buon posto per provare a buttare qualche amo. Non era infatti da escludere un finale in dolce compagnia. Dommy rideva continuamente e ad ogni bicchiere, il suo eloquio diventava meno comprensibile. Si era aggiunto al nostro gruppo Roberto, un altro ex della nostra scuola, il classico bravino, quello che sapeva tutto e che non faceva mai copiare. Era vestito da prima comunione e la sua aria snob si vedeva anche dal fatto che era arrivato con un cocktail in mano invece della birra o del prosecco come la maggior parte di noi. Non si era avvicinato neanche lui per caso ma per uno scopo ben preciso. Dommy era il dirigente della squadra dove giocava suo figlio e voleva informazioni su alcuni cambiamenti che lo lasciavano perplesso. Era evidente che Dommy cercava di evitare quella tematica, privilegiando gli argomenti e i sorrisi delle dame, soprattutto della rossa che ad ogni battuta gli si strusciava sul braccio mentre rideva. Ad un certo punto Roberto stava insistendo sulla modifica regolamentare che la Società voleva applicare da subito. Fino a quel momento, Dommy doveva aver vissuto la presenza di Roberto solo come un fastidio sopportabile ma mettere in dubbio quello che stava facendo la sua Società ed in particolare le modifiche regolamentari che erano frutto del suo lavoro con i responsabili nazionali delle giovanili della FIGC doveva avergli dato la sveglia. Dalla posizione leggermente stravaccata sullo sgabello, Dommy si era erto, si era schiarito la voce diventata nuovamente regolare e gli occhi avevano recuperato la normale rotondità. Anche i capelli e la barba si erano automaticamente riordinati come l’ampia camicia di flanella bianca. Non avrei mai immaginato di sentirgli fare dei ragionamenti seri, documentati, con tutti i numeri delle delibere pronunciati senza esitazione; Sembrava un avvocato durante un’arringa. Mi ha così sorpreso che, benché totalmente estraneo a quegli argomenti sono rimasto ammirato ad ascoltarlo e ad osservare la sua straordinaria metamorfosi. Erano rimaste invece totalmente estranee e disinteressate agli argomenti, con una punta di noia, Cinzia, la rossa e la bionda riccia che, bicchieri in mano, hanno raggiunto altri amici parlando e ballando con loro. Al termine del momento di lucidità, Dommy aveva mandato a cagare Roberto dicendogli che non capiva nulla.
Dommy aveva ripreso il suo format normale con occhi a fessura, voce impastata e portamento dinoccolato e rendendosi conto che, a causa di Roberto, eravamo rimasti con un pugno di mosche in mano, mi offrì di spostarci all’altro punto bar.
Ridevamo come ragazzini, prelevando alcuni assaggi a base di pesce dai vassoi disposti sul buffet, parlando dei tempi della scuola e di come eravamo cambiati nel corso degli anni. Entrambi, tenevamo stretto nelle nostre mani il bicchiere con un’altra birra.
Proprio dei bei personaggi ben delineati… Leggendo pare di vederli😉😎
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