Oggi viene ufficialmente ricordato il 70° anniversario della lettura a Parigi della “dichiarazione Schuman”. Era il 09 maggio 1950, alle ore 16.00 quando l’allora ministro degli esteri del governo francese, Robert Schuman, leggeva la dichiarazione politica, in cui per la prima volta compariva il concetto di Europa quale unione economica e piedistallo per la futura integrazione politica dei maggiori Stati europei.
Dire che l’Europa sia nata in questa data è forse azzardato ma si sa, noi genere umano abbiamo bisogno di segnali, di eventi per ricordare, per dare senso e continuità a progetti e tradizioni.
L’idea dell’unione Europea era già stata considerata ma era stata vista come egemonia politica di uno Stato su tutti gli altri. Senza scomodare gli antichi romani, pensiamo all’impero austriaco, all’impero di Napoleone per finire nel folle progetto hitleriano. La grossa novità sta nel considerare l’Europa come unione di popoli con interessi comuni, primo tra tutti quello della prosperità economica attraverso una pace duratura tra gli Stati e la cooperazione per ridurre gli ostacoli agli scambi commerciali.
E’ innegabile che il traguardo finale di un processo di integrazione dovrebbe essere l’unione politica, quindi l’eliminazione dei confini tra gli Stati e della stessa idea di Nazione così come la conosciamo noi. Gli stati avrebbero autonomia amministrativa e legislativa per temi di interesse locale lasciando allo Stato unitario la gestione della politica monetaria, della politica Estera e della Difesa.
Questo scenario evoca da un lato l’immagine di uno Stato forte nello scacchiere internazionale dove i maggiori competitori sono gli USA, la Cina, la Russia e l’India ed in cui sbracciano per aver un posto al sole Stati molto popolosi e militarmente sviluppati, più che economicamente: Pakistan, Iran, Giappone, Korea del nord e Turchia. Dall’altro il rischio di perdita di adesione morale al senso dello Stato per mancanza di identificazione nel nuovo soggetto e riduzione ad un affetto campanilistico per i vecchi stati nazionali. In particolare, quest’ultima preoccupazione è il maggior freno al processo di integrazione e motore per la rinascita di vecchie velleità nazionalistiche.
Eppure la moderna idea di Europa nasce proprio in uno dei momenti più bui per la storia europea: durante la seconda guerra mondiale nell’esilio forzato al confino sull’isola di Ventotene di personaggi scomodi perché considerati comunisti, anarchici o socialisti. In quel contesto, gli intellettuali Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi diedero origine al Manifesto diviso in 3 capitoli (dopo la riedizione a cura di Eugenio Coloni) in cui si esponeva la crisi della civiltà moderna (cap. 1) i compiti per il dopoguerra: l’unità europea (cap. 2) e la riforma della società (cap. 3).
Probabilmente oggi avremmo bisogno di rivedere le motivazioni che hanno portato alla realizzazione di parte del progetto europeista. Avremmo bisogno di intellettuali che ci parlino di Europa, visto che i politici non ne sono capaci. Abbiamo la necessità di dare nuovo vigore alla spinta europeista e completare la fase di unione economica quale predisposizione necessaria per realizzare l’unione politica.